TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA 
                           Sezione civile 
 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 1199/2019 promossa da: 
        U. Y. (c.f. ...), con il patrocinio  dell'avv.  Bassi  Andrea
elettivamente domiciliato presso  il  difensore  avv.  Bassi  Andrea,
ricorrente; 
    contro: 
        Comune di Ferrara in persona del sindaco  pro  tempore  (c.f.
00297110389), con il patrocinio dell'avv. Montini Barbara,  dell'avv.
Nannetti  Edoardo   e   dell'avv.   Indelli   Matilde   elettivamente
domiciliato presso i difensori, resistente; 
        ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione
- APS (c.f. 97086880156), con il patrocinio dell'avv. Guariso Alberto
e dell'avv. Neri Livio elettivamente domiciliata presso i  difensori,
intervenuto. 
    Il Giudice Marianna Cocca, a scioglimento della  riserva  assunta
all'udienza del 21 agosto 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Letto il ricorso; 
    letta la memoria difensiva depositata dal resistente, la comparsa
di intervento, nonche' le note depositate; 
    letta la documentazione in atti; 
 
                               Osserva 
 
1. Inquadramento della domanda e svolgimento del processo. 
    Il sig. Y. U. ha fatto ingresso in Italia in data 6 ottobre 2017,
formulando  in  data  23  ottobre  2017   richiesta   di   protezione
internazionale (doc. 2) e per tale ragione e' titolare di permesso di
soggiorno per richiesta asilo (doc. 3), con rinnovo semestrale. 
    Quale richiedente asilo, risulta  ospitato  presso  la  struttura
C.A.S. sita in ..., via ... gestita dalla Cooperativa  sociale  «...»
(doc. 4). 
    Il ricorrente risulta avere avanzato, in data 21  febbraio  2019,
per  il  tramite  del  responsabile  della  struttura,  richiesta  di
residenza in convivenza, presso il Comune di Ferrara  (doc.  5).  Con
comunicazione a mezzo pec del 20 marzo 2019, il funzionario  comunale
designato per l'istruttoria comunicava che «la richiesta di residenza
inviata in data 22  febbraio  2019  per  le  persone  in  oggetto  e'
irricevibile in quanto rientrano nella casistica del decreto-legge n.
113/2018 art. 13». 
    Ha chiesto quindi di ordinare - in  via  principale  con  decreto
inaudita  altera  parte  e  in  via  subordinata  previa   fissazione
dell'udienza, al Sindaco del  Comune  di  Ferrara,  anche  nella  sua
qualita' di  ufficiale  di  governo  responsabile  della  tenuta  dei
registri dello stato civile e della popolazione anagrafica  residente
- la  immediata  iscrizione  del  proprio  nome  nel  registro  della
popolazione anagrafica residente nel Comune di Ferrara a far data dal
21 febbraio 2019 e comunque  disporre  ogni  altro  provvedimento  di
urgenza che appaia, secondo le circostanze, piu' idoneo ad  eliminare
il pregiudizio subito et subendo. 
    All'udienza del 13 giugno  2019,  dichiarata  la  contumacia  del
Comune, e' stato concesso termine per  note,  al  fine  di  sollevare
d'ufficio la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  13
comma 1, lettera a) n. 2 del decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113,
convertito con modificazioni nella legge 1° dicembre 2018, n. 132. 
    In data 4 luglio 2019 si e' costituita con atto di intervento  ad
adiuvandum ex art.  105,  comma  2,  codice  di  procedura  civile  a
sostegno delle ragioni di  parte  ricorrente  l'associazione  ASGI  -
Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, chiedendo  di
accogliere il ricorso del sig. Y. U. ed  emettere  ordinanza  con  la
quale, riferiti i termini ed i motivi della presente istanza ai sensi
dell'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  concernente  le
questioni   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   13   del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113,  convertito  con  modificazioni
nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 per violazione degli articoli 2,
3, 10,16,117 Cost. e dell'intero decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.
113, convertito con modificazioni nella legge 1°  dicembre  2018,  n.
132 per violazione dell'art. 77,  disponga  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e sospenda il giudizio in corso. 
    Con comparsa depositata il 12 agosto 2019  si  e'  costituito  il
Comune  di  Ferrara,  chiedendo  di   dichiarare   l'inammissibilita'
dell'intervento di ASGI e, comunque, l'inammissibilita' della domanda
formulata dall'interveniente di promozione del  giudizio  incidentale
di costituzionalita'; dichiarare  il  litisconsorzio  necessario  del
Ministero dell'interno e conseguentemente ordinare l'integrazione del
contraddittorio ex art. 102  del  codice  di  procedura  civile;  nel
merito   respingere   tutte   le    domande    del    ricorrente    e
dell'interveniente perche' infondate e  mancanti  dei  requisiti  del
fumus e del periculum in mora; dichiarare manifestamente infondate le
questioni  di   costituzionalita'   proposte   dall'interveniente   e
conseguentemente respingere la richiesta di trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale. 
    Si procede all'esame delle singole questioni. 
2. L'ammissibilita' dell'intervento di ASGI. 
    L'associazione  ASGI  -  Associazione  per  gli  studi  giuridici
sull'immigrazione ha svolto  un  intervento  adesivo  dipendente,  da
ritenersi senza dubbio ammissibile. 
    La  situazione  legittimante  tale  tipo  di  intervento  e'   un
interesse che corrisponde ad una situazione piu' sfumata del  diritto
soggettivo, tant'e' vero che  il  terzo  non  esperisce  una  propria
azione, cui e' sotteso  un  diritto,  bensi'  si  limita  a  chiedere
l'accoglimento della domanda gia'  avanzata  da  taluna  delle  parti
originarie. 
    Nel caso di specie, l'associazione ASGI -  Associazione  per  gli
studi giuridici  sull'immigrazione  legittimamente,  intervenendo  in
adesione alla  domanda  del  ricorrente,  cerca  di  allontanare  gli
effetti negativi del giudicato  che  potrebbe  formarsi  sul  diritto
principale tra le parti originarie e potrebbe avere sulla  situazione
dipendente   (nella   specie   rappresentata    dai    diritti    che
statutariamente la  citata  Associazione  si  propone  di  tutelare),
mediante la propria  partecipazione  al  giudizio  e  un  conseguente
controllo dell'iter di formazione del provvedimento. 
3. La richiesta di integrare il  contraddittorio  nei  confronti  del
Ministero dell'interno. 
    Proseguendo nell'esame delle  eccezioni  preliminari,  posto  che
l'accertamento relativo alla sussistenza, o meno, di  una  situazione
di litisconsorzio necessario va effettuata sulla base  della  domanda
dell'attore,  nella  specie,  il  diritto  all'iscrizione  anagrafica
(oggetto della domanda)  attiene  ai  poteri  del  Sindaco,  il  che,
sebbene lo  stesso  agisca  in  questa  materia  quale  ufficiale  di
Governo, non determina una situazione rilevante  ai  sensi  dell'art.
102 codice  di  procedura  civile:  il  Ministero  dell'interno,  pur
legittimato all'intervento, non e' litisconsorte necessario. 
    Non v'e' dubbio infatti - perche' la circostanza  discende  dalla
legge ed in particolare dal decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.
267 - che il sindaco, in questa  materia  agisca  come  ufficiale  di
governo. 
    All'art. 14 il citato Testo unico  delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali prevede, fra i compiti del comune  per  servizi  di
competenza statale che «il comune gestisce i servizi  elettorali,  di
stato civile, di anagrafe, di  leva  militare  e  di  statistica.  Le
relative funzioni sono esercitate dal  sindaco  quale  ufficiale  del
Governo, ai sensi dell'art. 54». 
    Al comma 3 dell'art.  54  e'  previsto  che  «Il  sindaco,  quale
ufficiale  del  Governo,  sovrintende,  altresi',  alla  tenuta   dei
registri  di  stato  civile  e  di  popolazione  e  agli  adempimenti
demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di
statistica». 
    Orbene, richiamando la  giurisprudenza  consolidata  in  tema  di
ordinanze contingibili e urgenti, deve rilevarsi che, anche quando il
Sindaco agisca come ufficiale  di  Governo,  l'imputazione  giuridica
allo Stato degli effetti dei suoi atti non  modifica  lo  status  del
Sindaco nell'ambito dell'Ente locale: si richiama  sul  punto  quanto
statuito dal Consiglio di Stato, in quanto «anche quando agisca  come
Ufficiale  di  Governo,  l'imputazione  giuridica  allo  Stato  degli
effetti dell'atto del Sindaco ha natura meramente  formale,  restando
il Sindaco incardinato nel complesso organizzativo dell'ente  locale,
senza alcuna modifica del suo status» (Cons. Stato Sez. III sentenza,
1° dicembre 2016, n. 5048). 
    Va  quindi  rigettata  la  richiesta  di  chiamare  in  causa  il
Ministero dell'interno, posto che  nella  presente  controversia  non
risulta emanato alcun atto riconducibile ad amministrazioni  statali,
cosi' che non v'e' la legittimazione necessaria del  Ministero  (cfr.
nella medesima materia Tribunale Bologna 8 agosto 2019, est. Baraldi;
Tribunale Bologna 1° agosto 2019, est. Cardarelli; Tribunale Firenze,
27 maggio 2019, est. Breggia). 
4. I presupposti della domanda cautelare. Il periculum in mora. 
    Venendo all'esame  nel  merito  della  domanda,  e'  noto  che  i
provvedimenti d'urgenza ex art. 700 del codice  di  procedura  civile
presuppongono  il  pericolo  di  una  situazione  attuale  di  danno,
derivante dall'attesa del  giudizio,  e  mirano  a  scongiurarla  con
l'anticipazione degli effetti di esso. 
    La domanda va proposta al giudice competente per il  giudizio  di
merito. 
    Nella  specie,  certamente  competente  e'  il  Tribunale  adito,
considerato che, come chiarito dalla suprema Corte, «le  controversie
in materia di iscrizione  e  cancellazione  nei  registri  anagrafici
della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, e non
di   mero   interesse   legittimo,   attesa   la   natura   vincolata
dell'attivita' amministrativa ad essa inerente,  con  la  conseguenza
che la cognizione delle stesse e'  devoluta  alla  giurisdizione  del
giudice ordinario». (Cass. civ., Sez. Unite, sentenza n. 449  del  19
giugno 2000). 
    Il fumus boni iuris e il periculum  in  mora  sono  ad  un  tempo
condizioni della domanda  cautelare  nonche'  requisiti  fondamentali
perche' possa essere concesso un provvedimento d'urgenza. 
    Non e' contestato che il sig. Y. U., al momento  della  richiesta
di iscrizione anagrafica, fosse qualificabile come richiedente asilo. 
    Egli risulta titolare di  permesso  di  soggiorno  per  richiesta
asilo (doc. 3), con rinnovo semestrale,  valido,  che  garantisce  la
regolarita' della sua permanenza fino alla decisione  definitiva  sul
suo status. Come e' noto, il periculum in mora consiste nel possibile
pregiudizio che possa derivare al suddetto  diritto  nelle  more  del
giudizio ordinario e, nel caso  dei  provvedimenti  d'urgenza,  viene
identificato nel fondato timore che, in dette more,  il  diritto  che
forma oggetto della richiesta di tutela sia esposto  ad  un  pericolo
imminente ed irreparabile. 
    Nel  caso  di  specie,  il  diritto  soggettivo   di   iscrizione
anagrafica costituisce presupposto necessario per l'accesso a servizi
ricollegabili  all'esercizio  di   diritti   fondamentali,   la   cui
dimostrazione non  richiede  particolari  allegazioni,  derivando  la
stessa da previsioni normative. 
    L'irreparabilita' del pregiudizio che il sig. Y.  U.  verrebbe  a
subire in ragione di una iscrizione  illegittima  si  esplica  su  un
duplice piano, ossia, da un lato,  quello  dei  diritti  che  vengono
compressi in via immediata in ragione della negata residenza (accesso
a tutti quei servizi che hanno  quale  presupposto  l'identificazione
del  soggetto  anche  mediante  il  riferimento  alla  residenza)   e
dall'altro quello della preclusione della possibilita' di maturare le
condizioni per accedere ad alcuni diritti  che  hanno  nella  «durata
della  residenza»  il  loro  presupposto:  si  pensi  al  diritto  di
richiedere la cittadinanza  per  naturalizzazione,  che  richiede  la
residenza nel territorio dello  Stato  da  almeno  dieci  anni  o  al
diritto di accedere  a  prestazioni  previdenziali/sociali  vincolate
alla residenza, quali quelle previste dalla legge n. 4/2019. 
    Sussiste dunque il presupposto del periculum in mora,  posto  che
il ricorrente si vedrebbe irrimediabilmente compresso, nelle more del
giudizio, il diritto ad accedere a servizi che afferiscono a  diritti
fondamentali e a contemporaneamente maturare, se la sua richiesta  di
iscrizione  anagrafica  fosse  legittima,  il  requisito  di   durata
necessario per accedere ad altri diritti. 
5. Segue. Il fumus bori iuris. 
    Quanto  alla  sussistenza  del  secondo   presupposto   richiesto
dall'art.   700   codice   di   procedura   civile,   esso   consiste
nell'apparenza del  diritto  a  salvaguardia  del  quale  si  intende
richiedere  la  tutela,  la  cui  sussistenza  deve   apparire   come
verosimile e probabile alla luce degli elementi  di  prova  esistenti
prima facie. Come  si  e'  gia'  rilevato,  il  comune  nel  motivare
l'irricevibilita' del provvedimento fa riferimento al  fatto  che  la
domanda rientra nella casistica del decreto-legge n.  113/2018,  art.
13. 
    Anche nella propria memoria di costituzione, il Comune di Ferrara
ha chiarito che il rigetto della richiesta muove proprio dalla citata
norma.   Questa,   nell'interpretazione   del   Comune,    vieterebbe
l'iscrizione anagrafica degli stranieri che abbiano, quale titolo  di
soggiorno, quello di richiedenti asilo. 
    Occorre quindi esaminare la portata della citata norma ed il  suo
impatto sulla posizione del ricorrente  Y.  U.,  posto  che  essa  si
applica certamente alle domande presentate successivamente  alla  sua
entrata in vigore, quale e' quella del ricorrente, presentata  il  21
febbraio 2019. 
    Si osserva che il citato art. 13, decreto-legge  n.  113/2018  ha
disposto che «Al decreto legislativo 18 agosto  2015,  n.  142,  sono
apportate le seguenti modificazioni: all'art.  4  [...]  2)  dopo  il
comma 1, e' inserito il seguente: 1-bis. Il permesso di soggiorno di'
cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio  1998,
n. 286.». 
    La richiesta  cautelare  proposta  dal  ricorrente,  muovendo  da
un'interpretazione del contenuto  letterale  del  nuovo  comma  1-bis
citato, evidenzia che, poiche' la norma si riferisce al  permesso  di
soggiorno per richiedenti protezione internazionale quale titolo  per
l'iscrizione anagrafica, ma il sistema normativo di riferimento della
stessa disposizione e, in  particolare,  il  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 223 del 1989 e l'art.  6,  comma  7  del  decreto
legislativo n. 286/1998, non richiede alcun «titolo» per l'iscrizione
anagrafica (ma solo  una  determinata  condizione  soggettiva,  quale
quella di aver fissato la dimora nello Stato), non  si  potrebbe  far
derivare dalla disposizione alcun divieto di iscrizione. 
    Quindi, posto che l'iscrizione anagrafica ha natura di  attivita'
amministrativa a carattere vincolato,  in  relazione  alla  quale  il
privato  ha  una  posizione  di  diritto  soggettivo,  il  ricorrente
evidenzia come «l'iscrizione anagrafica registra  la  volonta'  delle
persone che, avendo una  dimora,  hanno  fissato  in  un  determinato
comune la residenza oppure, non avendo una  dimora,  hanno  stabilito
nello stesso comune il proprio domicilio», sulla base non di  titoli,
ma delle dichiarazioni degli  interessati  o  degli  accertamenti  ai
sensi degli articoli 13, 15, 18-bis e 19 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 223/1989. 
    Conseguentemente, la norma non andrebbe interpretata nel senso di
aver introdotto un divieto, in quanto il solo «titolo»  rilevante  ai
fini del riconoscimento della situazione giuridica soggettiva e'  «il
fatto o l'atto giuridico dal quale deriva l'acquisto della stessa  da
parte del soggetto giuridico», non gia'  il  documento  che  comprova
tale atto o fatto. Il senso della disposizione viene  ricondotto  dal
ricorrente   esclusivamente   alla   abrogazione   della   previsione
dell'utilizzo per i richiedenti asilo dell'istituto della  convivenza
anagrafica contenuta nell'art. 5-bis dello stesso decreto legislativo
n. 142/2015, che determinava che il  richiedente  fosse  all'anagrafe
sulla  base  della  sola   comunicazione   del   responsabile   della
convivenza, che determinava  percio'  una  procedura  semplificata  e
accelerata per il titolare di permesso di  soggiorno  richiedente  la
protezione. 
    Ritiene  il  giudice  che   l'interpretazione   prospettata   dal
ricorrente non sia condivisibile. 
    Essa, come correttamente rilevato dal  Comune  di  Ferrara  nella
memoria di costituzione, si traduce in una sostanziale  interpretatio
abrogans della norma, che finirebbe per non avere  alcun  significato
posto che l'abolizione della procedura semplificata poteva senz'altro
ottenersi con la sola abrogazione del citato art.  5-bis.  Va  notato
infatti che proprio la contestuale abrogazione  dell'art.  5-bis  del
decreto legislativo n. 142/2015, ove si disponeva che «Il richiedente
protezione internazionale ospitato nei  centri  [di  accoglienza]  e'
iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'art.
5 del regolamento di cui al decreto del Presidente  della  Repubblica
30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente»,  induce  a
ricostruire   la   disciplina   introdotta   nel   2018   nel   senso
dell'introduzione  di  un  divieto  dell'iscrizione  anagrafica   del
richiedente la protezione. 
    Ai sensi dell'art. 1 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 223/1989, «l'anagrafe della popolazione residente e'  la  raccolta
sistematica  dell'insieme  delle  posizioni  relative  alle   singole
persone, alle famiglie ed  alle  convivenze  che  hanno  fissato  nel
comune la residenza, nonche' delle posizioni  relative  alle  persone
senza  fissa  dimora  che  hanno  stabilito  nel  comune  il  proprio
domicilio». 
    Pare errato sostenere che l'iscrizione anagrafica dello straniero
non richieda alcun titolo, dovendo comunque rilevarsi che,  anche  ai
sensi dell'art. 4, decreto legislativo n. 142/2015,  il  permesso  di
soggiorno costituisce documento di riconoscimento dello straniero, ma
anche attestazione  che  il  soggetto  abbia  legittimamente  fissato
dimora nel  territorio  dello  Stato,  in  quanto  legittimamente  vi
soggiorna. 
    La locuzione secondo cui «Il permesso  di  soggiorno  di  cui  al
comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica» non  pare
che potersi interpretare nel senso che la situazione giuridica  posta
alla base del rilascio del permesso di soggiorno di cui  al  comma  1
(vale a dire l'essere regolarmente soggiornante in  Italia  per  aver
richiesto  la   protezione   internazionale)   non   legittima   piu'
l'iscrizione anagrafica. 
    A favore  di  tale  interpretazione  depone  anche  la  relazione
introduttiva  al  disegno  di  legge  di  conversione  del   predetto
decreto-legge,  ove  si  legge  che   «l'esclusione   dall'iscrizione
anagrafica  si  giustifica  per  la  precarieta'  del  permesso   per
richiesta   asilo   e   risponde   alla   necessita'   di    definire
preventivamente la condizione giuridica del richiedente» (cfr. Lavori
preparatori - Atto del Senato della Repubblica n. 840 del 2018). 
    Appare  chiaro  che   il   legislatore   abbia   voluto   vietare
l'iscrizione anagrafica, ritenendo che la stessa  debba  avere  quale
presupposto la  «definizione»  della  posizione  del  richiedente.  A
conferma di tale interpretazione,  la  lettura  della  norma  fornita
dalla circolare del Ministero dell'interno n. 15/2018  che  evidenzia
come «dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso  di
soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui  all'art.
4, comma 1, decreto legislativo n.  142/2015  non  potra'  consentire
l'iscrizione anagrafica». 
    Il significato della previsione appare dunque non suscettibile di
interpretazione diversa da quella che si sostanzia  nella  esclusione
della possibilita' di iscrizione  anagrafica  di  soggetti  che,  pur
regolarmente soggiornanti  in  Italia,  lo  sono  in  virtu'  di  uno
specifico titolo, ossia il permesso di  soggiorno  per  richiesta  di
protezione internazionale. 
    L'effetto abrogante prodotto  dalla  lettura  «costituzionalmente
orientata»   della   norma   prospettata   dal   ricorrente    appare
incompatibile con le ordinarie regole ermeneutiche. In questo  senso,
appare dunque corretta l'interpretazione della  norma  fatta  propria
dal Comune di Ferrara nel ritenere irricevibile la domanda di Y. U. 
    Ciononostante, sussistono le condizioni  per  disporre  in  senso
favorevole alla domanda  cautelare,  apparendo  necessario  rimettere
alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 13,
comma 1, lettera a) n. 2, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113  -
Disposizioni  urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'  organizzata  (in
Gazzetta Ufficiale  n.  231  del  4  ottobre  2018),  convertito  con
modificazioni dalla legge 1°  dicembre  2018,  n.  132  (in  Gazzetta
Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281), per violazione degli articoli  2,
3 e 117  della  Costituzione,  apparendo  questa  non  manifestamente
infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di
seguito esposto. 
5.1. La questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare. 
    Preliminarmente, non puo' dubitarsi  della  possibilita'  per  il
giudice comune di sollevare questione di legittimita'  costituzionale
in sede cautelare, sia quando non provveda sulla  domanda  cautelare,
sia quando conceda la relativa misura, purche' tale  concessione  non
si risolva, per le ragioni addotte a suo fondamento,  nel  definitivo
esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il  giudice
fruisce. 
    Nel caso di specie, la rilevanza della questione non  e'  esclusa
dalla natura cautelare del giudizio, considerato  che,  per  costante
giurisprudenza  della   Corte   costituzionale,   la   questione   di
legittimita' costituzionale  sarebbe  inammissibile  per  difetto  di
rilevanza,  qualora  essa   sia   sollevata   dopo   l'adozione   del
provvedimento cautelare, perche', in tal  caso,  la  rimessione  alla
Corte stessa sarebbe tardiva  in  relazione  al  giudizio  cautelare,
ormai concluso, e prematura in relazione al giudizio di merito. 
    Tuttavia, per evitare che la legge sospettata  di  illegittimita'
costituzionale possa precludere definitivamente la tutela  cautelare,
si ritiene che l'esigenza di conciliare il carattere  accentrato  del
controllo di legittimita' costituzionale delle leggi con il principio
di effettivita' della tutela  giurisdizionale,  appare  condivisibile
l'orientamento che opta, anziche' che per  la  disapplicazione  della
norma   sospettata   di   illegittimita'   costituzionale,   per   la
scomposizione del giudizio cautelare in due fasi: nella prima fase si
accoglie la domanda cautelare «a termine», fino alla decisione  della
questione di legittimita' costituzionale  contestualmente  sollevata;
nella seconda, all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale,
si  decide  «definitivamente»,  tenendo  conto,   per   valutare   la
sussistenza del fumus  boni  iuris  sulla  domanda  cautelare,  della
decisione della Corte costituzionale. 
    La Corte costituzionale, aderendo a tale  orientamento  che  vede
l'articolazione bifasica del giudizio cautelare, ha chiarito che  «la
potestas iudicandi del giudice a  quo  non  puo'  ritenersi  esaurita
quando la concessione della misura cautelare sia fondata,  quanto  al
fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale, dovendosi,  in  tal  caso,  ritenere  di
carattere provvisorio e temporaneo la sospensione dell'efficacia  del
provvedimento impugnato, fino alla  ripresa  del  giudizio  cautelare
dopo   l'incidente    di    legittimita'    costituzionale»    (Corte
costituzionale, sentenze n. 83 del 2013; n. 236 del 2010; n. 351 e n.
161 del 2008; ordinanza n. 25 del 2006). 
    E' quindi opportuno esaminare i profili di  rilevanza  e  di  non
manifesta infondatezza della questione, dovendo essere consentito  al
giudice  a  quo  -  che  nell'ambito  di  un  procedimento  cautelare
ritenesse   non   manifestamente   infondata    la    questione    di
costituzionalita' posta a fondamento del ricorso - di pronunciare  il
provvedimento  cautelare  richiesto,  con  l'obbligo   di   rimettere
contestualmente la relativa questione  alla  Corte  e  riservarsi  di
confermare o meno il proprio provvedimento all'esito del giudizio  di
costituzionalita'. 
5.2. La rilevanza. 
    Non v'e' dubbio in merito rilevanza della questione,  considerato
che il rigetto della domanda di iscrizione anagrafica  presentata  da
Y. U. fa leva proprio sul disposto del citato art.  13  decreto-legge
n. 113/2018, come confermato anche dal Comune nella  propria  memoria
di costituzione. 
    Come   gia'   detto,   l'odierno   ricorrente   e'   regolarmente
soggiornante in Italia e risulta avere dimora nel Comune di  Ferrara:
la sua richiesta e' stata rigettata dall'anagrafe di Ferrara, in data
20  marzo  2019,  con  la  seguente  motivazione:  «la  richiesta  di
residenza inviata in data 22 febbraio 2019 per le persone in  oggetto
e'  irricevibile,   in   quanto   rientrano   nella   casistica   del
decreto-legge n. 113/2018, art. 5» (doc. 6). 
    In buona sostanza, il  rigetto  della  richiesta  del  ricorrente
trova il suo fondamento proprio sulla norma di cui in questa sede  di
pone in dubbio la conformita' a Costituzione. 
5.3. La non manifesta infondatezza. 
    In primo luogo, la questione di legittimita'  costituzionale  non
appare manifestamente infondata in relazione all'art. 2 Cost.,  nella
sua accezione di «norma di apertura», idonea quindi  a  ricomprendere
anche il diritto alla residenza,  quale  diritto  al  quale  accedono
anche gli stranieri come peraltro previsto dal citato art. 6, comma 7
del decreto legislativo n. 286/1998. 
    A ben vedere, il diritto all'iscrizione anagrafica,  sebbene  non
rientri nell'ambito dei diritti civili,  costituisce  una  situazione
giuridica, che costituisce il presupposto per l'esercizio di  diritti
fondamentali certamente spettanti anche al cittadino straniero,  che,
come nel caso di' specie, sia titolare di permesso di  soggiorno.  La
questione si ricollega a diritti quali quello  all'istruzione  ed  al
lavoro, posto che l'iscrizione anagrafica costituisce il  presupposto
per l'inserimento nelle graduatorie  per  l'accesso  alle  scuole  in
relazioni alle quali vi sia competenza comunale, per l'iscrizione  ai
centri  per  l'impiego,   nonche'   per   l'accesso   a   prestazioni
previdenziali ed assistenziali. 
    Ne  deriva  che  il  divieto  di  iscrizione  all'anagrafe  della
popolazione residente  di  una  particolare  categoria  di  stranieri
regolarmente  soggiornanti,  ossia  i  richiedenti   asilo,   divieto
introdotto dall'art.  4,  comma  1-bis  del  decreto  legislativo  n.
142/2015 introdotto dal decreto-legge  2018,  pare  tradursi  in  una
compressione  del  diritto  alla  residenza  per  tale  categoria  di
stranieri. 
    Neppure - e di qui la non manifesta infondatezza  anche  rispetto
all'art.  3  Cost.  -  la  compressione  del  diritto  all'iscrizione
anagrafica che la norma in esame ha introdotto pare giustificata alla
luce del principio di  ragionevolezza,  parametro  che  sostanzia  il
principio di eguaglianza. 
    L'obiettivo che il legislatore persegue, precludendo l'iscrizione
solo  ad  una  particolare  categoria   di   stranieri   regolarmente
soggiornanti, non appare chiaro, posto che, anzi, la possibilita'  di
una loro completa  identificazione  (possibile  attraverso  una  loro
precisa   rintracciabilita'   sul   territorio)    pare    rispondere
all'esigenza di controllo sociale e sicurezza che il  legislatore  si
propone di perseguire, peraltro motivando in  tal  senso  il  ricorso
alla decretazione d'urgenza. 
    Neppure la compatibilita' con il  principio  di  uguaglianza  del
divieto in esame sembra potersi  motivare  sulla  base  della  natura
«provvisoria» del  permesso  di  soggiorno  connessa  alla  richiesta
d'asilo: occorre chiedersi se il carattere provvisorio  del  permesso
di soggiorno rilasciato al richiedente la  protezione  internazionale
giustifichi una differenziazione di  effetti  tale  da  escludere  il
diritto all'iscrizione anagrafica  e  se  sia,  sotto  tale  profilo,
conforme a Costituzione. 
    L'interpretazione fornita sul punto dalle pronunce del  Tribunale
di Trento richiamate dal Comune di Ferrara non convince. 
    L'art. 2 del decreto legislativo n. 286/1998  prevede  che  «allo
straniero comunque presente alla frontiera  o  nel  territorio  dello
Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali  della  persona  umana
previsti  dalle  norme  di   diritto   interno,   dalle   convenzioni
internazionali in vigore e dai  principi  di  diritto  internazionale
generalmente riconosciuti». 
    La parita' di trattamento di tutti  gli  stranieri  presenti  sul
territorio dello Stato trova copertura  negli  articoli  2,  3  e  10
Cost., dal momento che,  come  chiarito  dalla  Corte  costituzionale
(sent. n. 306/2008), al legislatore italiano e' certamente consentito
di subordinare «non irragionevolmente,  l'erogazione  di  determinate
prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di  urgenza
- alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al
soggiorno nel territorio dello Stato ne  dimostri  il  carattere  non
episodico e di non breve durata; una volta, pero', che il  diritto  a
soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione,  non  si
possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei  loro  confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona, riconosciuti invece ai cittadini». 
    Lo straniero che abbia  richiesto  protezione  internazionale  e'
titolare  di  un  permesso  che  non  pare  pero'  potersi   definire
«episodico», posto che si tratta  di  un  permesso  di  soggiorno  di
natura rinnovabile (fino alla decisione della domanda o comunque  per
il tempo in cui e' autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai
sensi dell'art. 35-bis, commi 3  e  4,  del  decreto  legislativo  28
gennaio 2008, n. 25, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo  n.
142/2015) ne' di breve durata,  essendo  vincolato  alla  durata  del
procedimento. 
    Peraltro,  va  considerato  che  qui  si  controverte  non  della
«erogazione di servizi», ma del godimento di  liberta'  fondamentali,
quali la liberta' di soggiorno di cui all'art. 16  Cost.  che  sembra
non irragionevole riferire a tutti i  soggetti  titolari  previamente
autorizzati al soggiorno in Italia e che vede quale sola eccezione «i
motivi di sanita' e di sicurezza». 
    Inoltre, e questo e' il profilo che pare decisivo,  la  posizione
del richiedente asilo e', si', provvisoria come «richiedente», ma  e'
tale non in re ipsa, ma in quanto prodromica  a  quella  di  titolare
dello status di riconoscimento della protezione. 
    La «richiesta» e' provvisoria non per se' stessa,  ma  in  quanto
presupposto  del   «riconoscimento»,   destinato   a   stabilizzarsi,
producendo effetti ex ante (quindi dalla richiesta). 
    In cio' pare cogliersi il profilo di irragionevolezza dettato dal
ricollegare  alla  provvisorieta'  della  richiesta  il  divieto   di
iscrizione: cio' considerato anche che  il  tempo  per  il  quale  il
soggetto permane nella posizione di  richiedente  e'  tutt'altro  che
trascurabile e collegato  a  ragioni  del  tutto  indipendenti  dalla
volonta' del soggetto, che resta titolare di  permesso  di  soggiorno
(semestrale e rinnovabile) fino alla conclusione del procedimento  di
riconoscimento dello status, nella  sua  fase  amministrativa  ed  in
quella  contenziosa,  eventuale,  ma  la  cui   durata   non   appare
compatibile  con  una  (quand'anche  ragionevole)  compressione   del
diritto alla residenza. 
    A cio' deve aggiungersi che,  ai  sensi  dell'art.  5,  comma  2,
decreto legislativo n. 142/2015 «l'accesso ai  servizi  previsti  dal
presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai  sensi
delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio»: il divieto
di iscrizione anagrafica di cui  all'art.  13  si  tradurrebbe  nello
svuotamento di questa disposizione  per  la  categoria  di  stranieri
costituita dai richiedenti  asilo.  Peraltro,  la  citata  disciplina
attua due direttive,  ossia  la  2013/33/UE  recante  norme  relative
all'accoglienza  dei  richiedenti  protezione  internazionale  e   la
direttiva  2013/32/UE,  recante  procedure   comuni   ai   fini   del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionali.  Concludendo  sul  punto,  l'unica  possibilita'  per
superare questo profilo di disparita' rispetto agli  altri  stranieri
parrebbe essere quello di prevedere che - per i titolari del permesso
di soggiorno per richiesta asilo -  ove  la  residenza  sia  prevista
quale presupposto del godimento del diritto  questa  vada  sostituita
col domicilio, ma cio' produrrebbe una sostanziale  inutilita'  della
disciplina introdotta. Diversamente non pare che potersi ritenere  la
non manifesta infondatezza di tale  profilo  di  incostituzionalita',
legato all'esito discriminatorio, per i richiedenti  asilo,  rispetto
al  godimento  di  diritti  che  vengono   formalmente   riconosciuti
(peraltro dalla stessa legge). 
    Sotto  un  altro  decisivo  profilo,  viene  in  rilievo  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
ai sensi dell'art. 117 Cost., in punto di compatibilita' della  norma
con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e in particolare con
il  quarto  protocollo  addizionale  e  con  l'art.  12   del   Patto
internazionale sui diritti civili e politici. 
    Quanto al primo aspetto, e' noto che la Convenzione EDU,  come  i
relativi protocolli (il quarto e' stato adottato il 16 settembre 1963
e ratificato dall'Italia il 27 maggio 1982),  si  configura  come  un
trattato internazionale multilaterale - pur  con  le  caratteristiche
peculiari che  saranno  esaminate  piu'  avanti  -  da  cui  derivano
«obblighi»  per  gli  Stati  contraenti,  ma   non   l'incorporazione
dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema piu' vasto, dai cui
organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio,
per tutte le  autorita'  interne  degli  Stati  membri.  (cfr.  Corte
costituzionale sentenza n. 348/2007). 
    Le norme Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in  quanto  norme  pattizie,
vanno quindi escluse dall'ambito di operativita' dell'art. 10,  primo
comma, Cost., per cui la questione di legittimita' costituzionale non
puo' che essere sollevata in riferimento all'art. 117,  primo  comma,
Cost. 
    Invero, va rilevato che la previsione  di  una  compressione  del
diritto alla residenza per una  particolare  categoria  di  stranieri
appare - oltre che irragionevole  nell'ottica  dell'art.  3  Cost.  -
anche  incompatibile  con  l'art.  14  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
prevede che «il godimento dei diritti e delle  liberta'  riconosciuti
nella presente  Convenzione  deve  essere  assicurato  senza  nessuna
discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso,  la  razza,
il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di
altro genere, l'origine nazionale o  sociale,  l'appartenenza  a  una
minoranza  nazionale,  la  ricchezza,  la  nascita  od   ogni   altra
condizione». 
    Per discriminazione - secondo la giurisprudenza  convenzionale  -
si  intende  il  fatto  di  trattare  in   maniera   diversa,   senza
giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si  trovano,  in
un determinato campo, in situazioni comparabili (cfr. 7 gennaio 2014,
Cusan e Fazzo contro Italia, § 54; 7  febbraio  2013,  Fabris  contro
Francia, § 47; 22 marzo 2012,  Konstantin  Markin  contro  Russia,  §
124). 
    Dunque, sono due i profili che vengono in rilievo. 
    Il  primo  e'  verificare  se  il  diritto  alla  residenza  deve
considerarsi inserito  nel  novero  dei  diritti  riconosciuti  dalla
Convenzione: la risposta e'  affermativa.  L'art.  2  del  citato  IV
Protocollo  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  prevede  che  «chiunque  si
trovi regolarmente sul territorio di  uno  Stato  ha  il  diritto  di
circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza». 
    Con il  termine  «residenza»,  diverso  dal  termine  «domicilio»
utilizzato dall'art. 8 Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  il  legislatore
sovranazionale  pare   indiscutibilmente   riferirsi   alla   «dimora
abituale», ricollegando a tale concetto gli effetti giuridici che  il
legislatore italiano ricollega alla nozione di residenza. 
    Il secondo profilo oggetto di  indagine  e'  se,  alla  base  del
diverso trattamento, vi sia una giustificazione ragionevole. 
    Disponendo che il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente
la protezione internazionale non costituisce titolo per  l'iscrizione
anagrafica, il comma 1, lettera a) n. 2)  decreto-legge  n.  113/2018
convertito in legge n. 132/2018 pare inibire illegittimamente a  tale
categoria di stranieri il diritto di fissare liberamente la residenza
nel territorio dello Stato, sebbene vi soggiornino liberamente ed  in
assenza di una giustificazione ragionevole, posto che la  stessa  non
puo' consistere nella precarieta' del soggiorno per le  ragioni  gia'
esposte e che non e' rispettata la  riserva  di  legge  prevista  dai
commi successivi dell'art. 2. 
    Analogamente, l'art. 12, paragrafo 1,  del  Patto  internazionale
sui  diritti  civili  e  politici  adottato  dall'Assemblea  generale
dell'ONU il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo in Italia con la  legge
25 ottobre 1977, n. 881, anch'esso vincolante ai sensi dell'art. 117,
primo comma, Cost., stabilisce  che  «Ogni  individuo  che  si  trovi
legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto  alla  liberta'  di
movimento  e  alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in   quel
territorio». 
    L'effetto sostanziale che l'art. 13, comma 1, lettera a),  n.  2)
del  decreto-legge  n.  113/2018  convertito  in  legge  n.  132/2018
produce, nonche' l'assenza di restrizioni «previste  dalla  legge»  e
che «siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale  l'ordine
pubblico, la sanita' o  le  moralita'  pubbliche  ovvero  gli  altrui
diritti  e  liberta'  e  siano  compatibili  con  gli  altri  diritti
riconosciuti nel presente Patto»  paiono  fondare  l'incompatibilita'
della norma introdotta nel 2018 anche con tale norma internazionale. 
    Concludendo, la sussistenza del fumus boni iuris si  fonda  sulla
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  e,  in   ossequio   alla   struttura   bifasica   del
procedimento cautelare di cui si e'  detto  al  paragrafo  5.1  e  la
misura va quindi concessa. 
    Le ragioni  di  urgenza  del  procedimento  e  la  necessita'  di
concedere la misura  cautelare  richiesta  inducono  a  rimettere  la
questione alla Corte costituzionale,  nonostante  essa  risulti  gia'
rimessa alla Corte da altri Tribunali,  dovendo  in  via  provvisoria
ordinarsi  all'ufficiale  dell'anagrafe  del  Comune  di  Ferrara  di
iscrivere  il  ricorrente  Y.  U.  all'anagrafe   della   popolazione
residente del Comune di Ferrara. 
    Poiche'  il  fumus  boni  iuris  importa,  nel  caso  di  specie,
l'accertamento della non manifesta infondatezza  della  questione  di
costituzionalita', non si vedono alternative processuali  all'obbligo
di cui all'art.  23,  legge  n.  87/1953  di  rimettere  la  relativa
questione alla Corte. Difatti, la sospensione ex art. 295 del  codice
di procedura  civile  senza  rimessione  puo'  essere  impugnata  con
regolamento di  competenza,  mentre  la  mancata  rimessione  che  si
accompagni ad un rinvio ad una data  successiva  alla  pronuncia  del
Giudice costituzionale, sembra incompatibile  con  l'urgenza  propria
del procedimento cautelare e con  il  funzionamento  del  sistema  di
controllo della legittimita' costituzionale delle leggi. 
    Concessa la misura in via provvisoria,  la  decisione  definitiva
non    potra'    che    rendersi    all'esito    dell'incidente    di
costituzionalita'.